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Sul Monte Ermada

showreel_museo_ermadaSabato 11 giugno sfidando un tempo che minacciava più pioggia che sole s’è svolta una salita al monte Ermada a ricordo dei caduti della grande guerra.
Iniziativa “fuori sede” del Presidente che si inquadra nell’impegno del Club di ricordare, nel centenario, fatti, luoghi ed eventi della Prima Guerra Mondiale legati al nostro territorio.
Guida d’eccezione Roberto Jurissevich ben noto ai soci per la sua passione e cultura sulla Grande Guerra in particolare quella svoltasi sul fronte dell’Isonzo.
Nella valle che si trova tra il monte Ermada e il monte Gredina (246 m), passava la strada romana via Gemina, che per gli attuali San Giovanni di Duino e Medeazza collegava Aquileia e Lubiana. Posto di osservazione ideale verso la pianura friulana, l’Alto Adriatico e il Carso, la cima dell’Ermada dunque venne abitata già in epoche remote. Testimonianza di queste presenze sono i resti dei castellieri rinvenuti sulle sue propaggini. Il” monte”Ermada è in realtà una collina posta a cesura della provincia di Trieste nella sua parte nord-occidentale, all’interno del comune di Duino-Aurisina. Nella sua massima altezza di 323 metri, è in realtà composta da una serie di cime tra loro vicine, che formano un massiccio blocco facilmente riconoscibile dalla pianura monfalconese e dal mare del golfo di Trieste. Le sue propaggini orientali sono in territorio sloveno. Durante le battaglie dell’Isonzo della prima guerra mondiale fu baluardo inespugnabile dell’esercito austro-ungarico a difesa di Trieste. I resti delle trincee e dei camminamenti militari austroungarici , che sono ancora oggi visibili lungo i suoi fianchi, ne sono testimonianza. Si tratta di un Museo all’aperto che fa vedere l’apprestamento difensivo realizzato dopo la 6° battaglia dell’Isonzo dagli austriaci nel 1916 quando gli italiani riuscirono si a espugnare le prime colline del monfalconese ma si arrestarono appunto su questa parte del carso triestino di valenza strategica per l’esercito nemico. Le doline, i passaggi tra le rocce e le grotte naturali dell’altopiano carsico si adattarono perfettamente alle necessità della Grande Guerra. In breve tempo furono così costruite trincee, appostamenti e ricoveri per soldati rendendo questa nuova linea una barriera invalicabile per gli italiani. Tutti gli assalti della Terza Armata tra l’ 8a e la 10a Battaglia dell’Isonzo infatti furono respinti nonostante il numero dei soldati austro-ungarici fosse nettamente inferiore. Il nutrito gruppo di soci partiti da Cerolie hanno percorso la salita senza difficoltà accompagnati dalle spiegazioni ed informazioni di Roberto Jurissevich , raggiungendo la Grotta Ermada e quindi la vetta. La visita degli apprestamenti militari come le trincee,le postazioni di artiglieria, gli osservatori, i bunker,i resti dei casermaggi, le grotte artificiali o naturali hanno fatto capire il perché gli italiani non riuscirono mai a conquistare questo punto che- forse- avrebbe aperto la via di Trieste “manu militari” senza attendere Vittorio Veneto. La difesa della “Fortezza Ermada” era basata anche su un imponente dispiegamento di batterie d’artiglieria che nel 1917 fu probabilmente uno dei maggiori della Grande Guerra. Di cui il pezzo più importante era il mortaio Skoda da 380 mm, che poteva, nascosto, battere le linee italiana da dietro l’Ermada con effetti terribili. Ma anche gli italiani fecero sforzi enormi , in particolare durante la 10° battaglia dell’Isonzo. Tra il 12 maggio e il 5 giugno 1917, nell’arco di una sola giornata le artiglierie italiane riversarono sui suoi contrafforti un milione di bombe. Nel corso della guerra più di centomila uomini persero la vita nel tentaivo di conquistare queste zone alle spalle di Trieste. Una carneficina , una delle pagine più sanguinose di quel macello. Ma il Monte Ermada è qualcosa di più di uno dei luoghi-simbolo della Grande Guerra: è un posto circonfuso dal mito, una specie di Masada di queste terre, la fortezza invitta dove si infranse inutilmente il mare in tempesta della Storia, un argine posto a crocevia di tre mondi, lo slavo, l’italiano e il germanico. Grazie alle “truppe cammellate” la gita sì è conclusa a pane e salame ( e non solo) apprezzatissimi come il vino che ha stemperato l’angoscia dei ricordi legati a questi luoghi e dato forza per la discesa.

Piero Taccheo