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Service sanitari nell’Africa sub equatoriale: luci ed ombre

Mercoledì 31 maggio, presso il Ristorante “Al Casone” di Grado, il nostro Club ha avuto come relatore il dott. Giulio Bonivento.
Introdotto egregiamente dal Presidente Vincenzo Spinelli, il dott. Giulio Bonivento, senza retorica e con vero spirito rotariano, ha illustrato la sua esperienza di medico volontario in due Ospedali Missionari di Etiopia e Tanzania.
“Sono partito”  ha esordito “con il dott. Schweitzer nella testa, e sono tornato con più dubbi e domande che risposte”.
Gli ospedali spesso sono lontani dalla capitale e difficili da raggiungere, centinaia di chilometri da percorrere e spesso su strade non asfaltate, la popolazione che gravita attorno ad essi spesso è più ampia di quanto dovrebbe essere in quanto la migliore qualità delle cure offerte, rispetto alle strutture sanitarie statali della regione, attrae pazienti anche da zone esterne all’area di riferimento. L’andamento dei ricoveri è stagionale, fortemente condizionato dal clima monsonico tropicale, che, durante la lunga stagione delle piogge, rende inagibili gran parte delle pessime strade in terra battuta che collegano tra di loro i piccoli villaggi. Le popolazioni sono povere, non affamate, vivono di agricoltura e di piccoli commerci, ma con decoro e dignità, in bilico tra tradizione e modernità. Così come in bilico tra cultura occidentale e cultura africana stanno i due Ospedali,costruiti, attrezzati e diretti da europei, ma abitati quasi esclusivamente da africani: africani i medici, africani gli infermieri, africane le maestranze tecniche e,soprattutto, africani i malati, con tutto quanto ne consegue. La vita nell’ospedale,quindi, risente molto delle abitudini e dei costumi locali, ospedali con strutture moderne ma in cui è difficile ottenere i risultati sperati per carenza di igiene e di mezzi e in cui gli operatori africani e i pazienti, sembrano esattamente contrari ad accettare le regole, tesi a mantenere intatte le loro abitudini culturali, fantasiose e approssimative se rapportate alla mentalità occidentale. Segno del peso e della forza della tradizione familiare in Africa, che spesso supplisce alle vistose carenze delle strutture assistenziali degli Stati. Da qui sorge la domanda di origine etica : quanto sia lecito interferire sullo sviluppo di quelle popolazioni con la giustificazione dell’azione umanitaria. Dopo sorge una seconda domanda: quanto sia veramente efficace e coerente l’attività degli Ospedali europei nello sviluppo della salute in Africa. Il dott. Bonivento , su questo, ci ha saputo bene illustrare come l’attività di questi ospedali sia nettamente positiva specie nel controllo delle pandemie,TBC, AIDS ed Ebola, e sulla prevenzione sanitaria in ambito materno infantile. . In questi due settori gli indicatori sono chiari, e fortemente positivi. La TBC, ancora molto frequente in quei paesi, è adeguatamente curata, così come l’AIDS, che purtroppo però sfugge al controllo per il rifiuto degli Africani, uomini e donne, a usare protezioni negli atti sessuali. Diverso il quadro degli altri settori della medicina, specialmente quelli chirurgici ad alta tecnologia, che non soffrono soltanto di carenza di mezzi, ma anche delle condizioni igieniche locali molto scadenti e della cultura sanitaria locale, ancora troppo ancorata a credenze sciamaniche e diffidente della medicina occidentale. Lavorare per delle ore in sala operatoria,promettere a povere persone la guarigione della malattia, per poi scoprire che tutto il lavoro è stato vanificato da un’infezione, o dall’impossibilità di praticare una trasfusione di sangue, risulta talmente deprimente, da minare anche la volontà più ferrea. In questo aiuta l’ammirazione per tutti gli operatori sanitari, esperti di organizzazione e politica sanitaria, semplici volontari, che hanno avutola capacità e la forza di creare e mantenere attiva l’ampia rete di ospedali europei “non profit” in Africa. E altrettanto aiutano lo spirito e le parole di Albert Schweitzer: “Quello che posso fare è una goccia d’acqua in un oceano. Ma è ciò che dà significato alla mia vita”.