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La Grande Guerra vista a 360°

Il Prof. Gianluca Volpi durante la conferenza

31 maggio 2012.

Gli storici (……di scuola e non dilettanti) hanno bisogno dei loro tempi. Legati soprattutto alla difficoltà di poter studiare negli archivi spesso irraggiungibili o peggio secretati. Così per poter ascoltare una esaustiva e non nazionalistica analisi storica e non storiografica dello scontro epocale lungo l’Isonzo nella Prima Guerra Mondiale tra Italia e l’Impero Austro-Ungarico ci vogliono cent’anni. Grazie al prof. Gianluca Volpi dell’Università di Udine, nella conviviale del 31 maggio scorso il Club ha potuto capire, rivoluzionando gli stereotipi che ci hanno insegnato a scuola, che l’Italia, firmataria dell’alleanza tripartita all’inizio del ‘900, era legittimata alla posizione neutrale nel 1914 ma non all’ ”aggressione” del 1915.
E che a sua volta l’Impero Austro-Ungarico subendo il fronte italiano (mentre faceva una guerra d’invasione nei Balcani), trovò lì motivo di coesione tra le tante etnie tutte presenti nel suo esercito (austriaci, croati, sloveni ungheresi, cechi ed altro) contraddicendo le opinioni contrarie italiane che vedevano in ciò motivo di debolezza dell’avversario.
Che complessivamente l’Italia fronteggiò la guerra con più artiglieria, più aviazione, più rifornimenti, più mezzi meccanici, più forte complesso d’industria di guerra nelle retrovie. Con l’utile accelerata finale dell’entrata in guerra degli Stati Uniti.
Che la disfatta di Caporetto e la resistenza sul Piave furono nel dopoguerra esaltati dalla propaganda nazionalista al contrario di quello che furono: superiore strategia austriaca la prima, ed esaurimento fisico delle forze austriache la seconda, forze affamate, lente e con pochi mezzi ed ormai certe che il vero obiettivo del successo era irraggiungibile.
Che lo “scopo” irredento della guerra per l’Italia (Trento, Gorizia e Trieste) era la maschera ad ambizioni territoriali istro-dalmate (modeste per la verità) per le quali i soldati dell’Impero combatterono con un impegno di difesa dei loro territori superiore a quello che  si poteva chiedere alle genti delle regioni italiane al fronte, così lontane ed estranee a queste rivendicazioni. Tanto che il forte impegno delle armate del Regno d’Ungheria contro l’Italia non è estraneo agli interessi ungheresi alla costa adriatica  la cui  italianità (motivo delle rivendicazioni dell’Italia) veniva confusa al di qua del mare con la sua storica “venezianità” della Repubblica,  dall’Istria alla Grecia.
Interessanti le inedite immagini di soldati ungheresi che lo studioso ha potuto ritrovare, selezionate per il loro simbolismo (fraternità da ….fame con i contadini italiani dopo Caporetto e sprezzante superiorità sui…..lustrascarpe locali nelle città balcaniche occupate) ma anche per il loro valore di storia nostra locale riprendendo scorci dei fronti alpini delle nostre parti.
Ma anche dell’inferno del Carso, carnaio bi-fronte drammaticamente unico per entrambe le nazioni combattenti dove però la tattica austro-ungarica  di immediato contrattacco negli sfondamenti puntuali italiani, per non dare respiro e vantaggio psicologico agli avversari, ebbe  ragione per anni della superiore organizzazione e potenza tecnica del nemico.
Si sarebbe voluto che la “lectio magistralis” non finisse mai: qual’era la situazione sanitaria e psichiatrica nei reduci austriaci? Ci fu anche da parte degli imperiali la spinta ideale di intellettuali al fronte,  come in Italia? Perché l’Italia a Vittorio Veneto puntò l’occupazione utile alle rivendicazioni al tavolo della pace a sud e non verso il cuore dell’Austria?
Ma sarà per un’altra volta: congratulazioni all’applaudito oratore, chiusura con una cena “del territorio” tutta  a base d’asparagi. Memorabile. Grande Gianni.

Piero Taccheo