Maurizio Fermeglia: dall’imbrago all’ermellino

2015-02-05 21.10.47Serata divertente, fuori dagli schemi ed a sorpresa quella che il Club ha riservato ai soci Giovedì 5 febbraio. Invitato il Rettore dell’Università di Trieste, il quale anziché addentrarsi nelle problematiche di gestione di quasi 2.000 dipendenti e 20.000 studenti ha stupito l’uditorio raccontando, in realtà rivivendola con passione, la sua vita di alpinista scalatore e sciatore “estremo”.

Laureato in Ingegneria chimica presso l’Università di Trieste nel 1980. Ricercatore negli anni ’80 presso la Denmark Technical University danese, poi ricercatore universitario e vincitore di concorso nel settore Principi di ingegneria chimica, Maurizio Fermeglia è professore ordinario insegnando “Reattori chimici e biochimici”, “Basi di dati” e “Progettazione di processo e di materiali”. Da due anni è Rettore dell’Università di Trieste. Ma di questa intensa esperienza professionale non ha parlato (l’ha ricordata il presentatore Rudi) perché ha preferito illustrare alcuni capisaldi non accademici che hanno segnato la sua vita. Dal servizio militare negli alpini in Val d’Aosta all’attività agonistica di pallavolo, dalla partecipazione ad un gruppo corale di musica rinascimentale e folcloristica dove suonava strumenti a corda, all’insegnamento nella palestra di roccia sottocasa della “napoleonica” triestina o della Val Rosandra, dalla lunga militanza nel soccorso alpino regionale all’attività di consulente scientifico dell’ICS – UNIDO. Ma soprattutto la grande passione per la scalata e lo sci fuori pista (è Accademico del CAI). Approcciata lentamente da ragazzo con passeggiate, escursioni, primi rifugi la montagna via via più alta, difficile, innevata, impervia è diventata ragion di vita e di insegnamento. Triestino, ha vissuto in quell’ambiente curiosamente (in una città di mare!) di grande prestigio e rilievo che sono i 2 Club alpini della città. E partecipando con amici alla filosofia (unica) dello scalare “per divertirsi” (“andar in grotta”) con veloci ed improvvisati weekend per arrivare all’alba sotto la parete affrontandola con spirito goliardico e non competitivo. Negli USA, nel 1984, effettua, in quattro giorni, assieme a Franco Perlotto e a Paolo Pezzolato, la prima salita Italiana di Dihedral Wall ( VI 5.9 A3+ ) su El Capiptain, nella Yosemiti Valley, in California. Fatta, s’è bevuto una birra ed è tornato a casa pensando alla prossima “gita” in Perù verso degli over 5.000 m. Altri nel fare quella parete ci hanno scritto un libro e ne hanno parlato per tutta la vita. Lui si è divertito. Monte Bianco, Dolomiti, Cordigliera e tanti altri i luoghi dove ha affrontato la sfida di andare per pareti o scendere per nevai ripidissimi (a 48 gradi di pendenza!) misurandosi con i propri limiti tecnici ed umani. E la questione dei limiti gli ha permesso di raccontare quanto difficile sia stato dare al soccorso alpino regionale quella configurazione operativa che ha oggi: cioè dotarlo di squadre specialistiche e di attrezzature e mezzi in grado di andare a salvare alpinisti bloccati o feriti in alta montagna anche in parete. Che poi in questo sport (ma più modo di vivere) ci voglia anche la giusta dose di fortuna è certo: ha confessato alcuni suoi errori che l’hanno portato sotto una valanga o ad accorgesi di aver superato per errore il punto di sosta e, finita la lunghezza della corda, nell’impossibilità di scendere, far salire il proprio compagno senza sicurezze per riuscire a raggiungere un punto di sosta. Ma l’essere con noi a raccontarci il fascino di una vita “verso l’alto” (perché il peggio è poi scendere) vuol dire che in fondo se l’è cavata anche in queste occasioni.

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